Su L’indiscreto Vanni Santoni intervista 65 Critici Letterari, tra i quali ci sono anche io

Online su L’indiscreto le risposte di questa intervista che Vanni Santoni ha fatto a 65 Critici letterari italiani, tra i quali ci sono anche io. Sono quattro domande, Ogni link contiene una domanda e tutte le risposte.

Più o meno c’è tutto il panorama critico letterario, quindi se volete farvi un’idea sulla situazione della critica, questo è l’articolo giusto.

In coda al quarto articolo c’è il pdf (epub) con tutte le risposte alle quattro domande. Ogni domanda è cliccabile per andare sul sito e leggere le risposte.

1) Scrisse, attraverso un suo personaggio, Pynchon, che nel secolo a venire la critica letteraria sarebbe stata ancor più importante perché si sarebbero prodotti più libri per meno lettori, e dunque la funzione d’indirizzo dei lettori e selezione del canone sarebbe stata decisiva. Concorda? Come crede debba essere interpretata, oggi,  questa funzione? Come può reagire la critica al paradosso dell’aumento della sua utilità rispetto alla diminuzione pratica degli spazi espressivi?

2) In un altro ampio pezzo di cui sto raccogliendo i contributi – e in cui gli interpellati sono gli scrittori – sto trovando conferma al fatto, di per sé intuibile, che molti dei nostri scrittori contemporanei abbiano trovato le proprie stelle polari in libri di scrittori esteri, spesso letti in traduzione, più che del canone italiano, e quasi sempre in romanzi (esistendo del resto canoni più forti del nostro in questo specifico genere). Quali crede che siano gli effetti di questa crescente globalizzazione delle influenze?

3) Uno dei dibattiti letterari che emergono ciclicamente è quello intorno alla possibilità (o all’esistenza) di un “grande romanzo italiano”, con particolare riferimento alla letteratura italiana successiva alla Seconda Guerra. Prima di tutto: a suo avviso un GRI è possibile? Se no, perché? Se sì, di cosa cosa potrebbe o dovrebbe parlare un “grande romanzo”, e in che modo? A suo avviso ci sono libri che possano meritare il titolo? Se sì, quali? Se no, considerando che nelle altre maggiori tradizioni letterarie si possono indicare più candidati, crede che ciò si debba all’assenza, nella nostra letteratura, di una tradizione forte in questo senso, e quindi della minor disponibilità di modelli? È plausibile che, nella sopravvenuta egemonia del romanzo (almeno nelle forme scelte da chi scrive) e nella globalizzazione delle influenze si arrivi al superamento di tale limite? 
Dall’altro lato, non dovrebbe forse un qualunque “grande romanzo” farsi già trans-nazionale? (vengono alla mente, come esempi tra i più immediati e recenti, coincidenti con altrettanti “grandi romanzi” di autori esteri, I detective selvaggi 2666 di Roberto Bolaño, Europe centraldi William T. Vollmann, Abbacinante di Mircea Cărtărescu, Austerlitz di W.G. Sebald)

4) Nella rassegna Da zero a dieci, la rivista letteraria “La balena bianca” ha chiesto a dieci giovani critici italiani di indicare quelli che a loro avviso sono i libri del decennio passato. È emersa una lista* in cui, al netto delle menzioni multiple, figurano circa quattro romanzi (un quarto dei quali “ibridi”) per ogni raccolta di racconti o prose. Una proporzione meno favorevole al romanzo di quella espressa dall’editoria in sé, ma che comunque riflette una decisa egemonia di tale forma. Che riflessioni le ispira questa proporzione?

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *