Un bosco di betulle

C’è un tempo storico che ormai non si vede più. In questo tempo c’è stata questa foto, realizzata da un Sonderkommando, all’interno del campo di concentramento di Auschwitz nell’agosto del 1944. Questa foto ritrae un bosco di betulle, ma più di ogni altra cosa ritrae l’esterno del campo di concentramento. Si è occupato di queste foto Georges Didi-Huberman, quindi rimando ai suoi testi per una completa analisi filosofica, tuttavia qui, oggi, si ripropone una sua domanda: Bisogna semplificare per trasmettere?
 
Cosa comunica questa foto? poco, molto poco di ciò che stava accadendo nel campo. Ma molto poco da un punto di vista narrativo, didascalico ed esplicativo. Questa foto in realtà comunica la paura di scattare una fotografia. C’è il movimento, la fuga, c’è la consapevolezza di star producendo qualcosa, una testimonianza che sarebbe rimasta per sempre. La complessità è nell’andare oltre l’errore attraverso lo studio e l’analisi. 

Ora questo ‘per sempre’ non c’è più, c’è sempre, ma si è perso. Quel confine, quei limiti ritratti nella foto, l’esterno del campo, quel bosco, servivano anche per comprendere sin dove si estendeva quella determinata esistenza, confinarla, avere l’idea che fuori c’era, forse, qualcosa d’altro. Di lì a poco quel campo sarebbe stato smantellato e quel fuori, quelle betulle, sarebbero diventate l’antifascismo e la democrazia, il saper comprendere cosa c’è fuori e cosa c’è dentro. Ma serve un contesto storico per farlo, al di fuori della percezione storica, non si riesce più.

 
{Queste foto sono le uniche testimonianze fotografiche realizzate all’interno dei campi di concentramento}

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