Doveva essere domenica, o forse un qualsiasi altro giorno della settimana con le sembianze della domenica mattina, quando Gauguin scrisse queste parole.
Un pittore che non ha mai saputo disegnare ma che disegna bene è Renoir. […] In Renoir niente è al posto giusto: non cercate la linea, non esiste; come per magia una graziosa macchia di colore, una luce carezzevole parlano a sufficienza. Sulle guance, come su una pesca, ondeggia una leggera peluria, animata dalla brezza d’amore che sussurra agli orecchi la sua musica. Vien voglia di addentare la ciliegia che rappresenta la bocca e imperla, nel sorriso, i dentini candidi e aguzzi. […] Divino Renoir che non sa disegnare.
Gauguin aveva compreso l’unica cosa che Renoir fosse in grado di fare: dipingere il desiderio. In tutte le forme, un desiderio violento che non si può esprimere in nessun altro modo se non attraverso la delicatezza. I corpi, nello stesso modo i fiori o il cielo, erano un sussulto per l’essere umano, più che per il pittore, una macchia di colore poggiata sulla tela come si tocca la pelle di una gamba.
Cosa si può fare oggi con le innumerevoli tele di Renoir se non guardarle? Ma è proprio nello sguardo che si genera la distanza, quindi l’attesa. Si sottrae il contatto. Proprio lì dove Renoir aveva toccato, goduto, proprio lì dove aveva dipinto e toccato il colore, noi impotenti osserviamo soltanto. È questa l’idea del desiderio che voleva trasmetterci Renoir? Il desiderio è generato proprio lì dove lo spettatore non può far altro che guardare. Lo sapeva questo Renoir, lui con le sue mani sfatte, le sue ossa distrutte. Sapeva guardare ed eccitarsi. È nel suo sguardo che ci ritroviamo da spettatori, ma noi non siamo Renoir, ma noi soffriamo in qualche modo prossimo e distante dalla sofferenza di Renoir. Davanti a una sua opera impotenti.
Vien voglia di addentare la ciliegia.