La superiorità etica dei vegani

Generalmente non scrivo di alimentazione e soprattutto di diete vegane e vegetariane (nonostante io sia vegetariano), perché non mi piace discutere delle scelte etiche e morali che ognuno compie.

Tuttavia in questi giorni sta girando moltissimo questo articolo, e alcune persone sono persino venute a dirmi che la mia scelta non è etica o comunque non devo vantarmene (cosa che peraltro non ho mai fatto).

Così inizio a leggere l’articolo e mi accorgo che parte dalla critica a Giulia Innocenzi, giornalista e scrittrice che pur essendo famosa, non mi sembra possa esser rappresentativa di tutta la popolazione vegana, mi chiedo, infatti, perché non si è preferito far ironia su altri giornalisti uomini, come Michael Pollan, Safran Foer o l’italiano Stefano Liberti. Non lo saprò mai, è toccato a una donna, a Giulia Innocenzi, me ne dovrò fare una ragione.

Tuttavia il tema del discorso non è Giulia Innocenzi, ma la presunta superiorità etica dei Vegani. E così l’impostazione diventa anche il metodo e l’ironia diventa lo strumento per costruire una comfort zone attorno a chi, mangiando carne, non accetta l’inferiorità etica (e sono molti).

L’articolo inizia parlando della Quinoa, cita un articolo del TheGuardian sui dati e su ciò che è cambiato in due nazioni produttrici – Perù e Bolivia. Tuttavia l’articolo è del 2013, sono passati un po’ di anni e la situazione è cambiata proprio a livello etico. Quello che è scritto è vero, ma non è completo, la Quinoa è prodotta anche in Italia e inoltre molti progetti stanno utilizzando la Quinoa per contrastare la malnutrizione nel mondo, ad esempio in Africa. In ultimo i dati sulla malnutrizione dei bambini in Perù non sono strettamente collegabili alla Quinoa, o almeno non mi sembra ci sia una correlazione così evidente.

Andando avanti con la lettura trovo altri alimenti citati con i dati, tutti corretti ovviamente, tuttavia i prodotti citati sono le mandorle, l’avocado e gli anacardi. Credo che la loro produzione sia un problema, ma in generale, non credo che un vegano non possa esser vegano senza introdurre nella sua dieta gli anacardi, le mandorle e l’avocado. Quindi è tutto vero, ma anche qui non c’è correlazione tra le due cose. Già la quinoa si può ritenere abbia più attinenza essendo un alimento di tutt’altra portata. In questo caso il problema riguarda tutti coloro che mangiano questi cibi, cioè molti e non solo i vegani.

Altro aspetto interessante di questa parte dell’articolo preferisco citarlo direttamente: 

“Ma da dove arrivano gli anacardi che finiscono nei dolci cruelty free?
Per il 40% dal Vietnam, Paese che ha deciso di adottare per la loro raccolta una filiera produttiva che ricorda le dittature più tiranniche della storia, tipo la Corea del Nord di Kim Jong Un, la Romania di Ceaușescu o la Apple di Steve Jobs.”

Questo non lo commento, vi lascio con il paragone tra la Corea del nord e la Apple, mi interessa fare il debunking dell’articolo perché continua parlando dell’utilizzo dell’acqua nella produzione delle mandorle (4 litri per mandorla), è un quantitativo d’acqua notevole, ma la domanda corretta da farsi forse è: Quanta acqua serve per non essere vegani e mangiare carne? Per un kg di carne di maiale servono 6000 litri d’acqua ed è l’animale che ne utilizza meno. Sempre il nostro amato TheGuardian stima che per la produzione di un kg di carne servono tra i 5000 e i 20.000 litri d’acqua. La scelta etica non è detto che preveda sempre il bene, talvolta può rivolgersi verso il male minore (pur sapendo che il male minore è sempre male, quindi il processo di miglioramento non si interrompe, ma continua).

Ultimo punto che mi interessa analizzare è quello legato alla Soia, uno dei cereali in assoluto più prodotto al mondo, parte della confutazione è contenuta nell’articolo stesso, perché la soia è in effetti utilizzata per l’alimentazione animale (inseime al mais, che in questo articolo non trova spazio) il 70%, per citare l’articolo stesso. La soia rappresenta veramente un problema ambientale, ma il problema è industriale, legato alle multinazionali e ancora una volta all’alimentazione animale, non ai pericolosi e cattivi vegani. Stefano Liberti sostiene nel suo libro che “La Cina vuole assicurarsi la sicurezza alimentare controllando le produzioni all’estero di quegli alimenti che non può più farsi in casa, come la soia, e industrializzando sempre più le proprie campagne, sul modello di quanto fatto in Brasile e Stati Uniti. Con un’unica non trascurabile differenza: in Cina vivono 1.3 miliardi di persone, un quinto della popolazione mondiale.” Liberti segue il flusso di denaro delle acquisizioni e delle opere infrastrutturali per far arrivare la soia sino a Pechino (per un approfondimento sulla produzione della soia rimando al testo di Stefano Liberti nel suo libro I signori del cibo).

Ed è vero che secondo il WWF per sostituire latte e carne bisognerebbe aumentare il terreno arato, ma a questo corrisponderebbe una diminuzione del terreno utilizzato per gli allevamenti (Gli allevamenti occupano il 25% della superficie terrestre) e per le feci (sì, le feci delle produzioni industriali di cibo vengono depositate, la lotta in america contro le Lagons è quotidiana e si sta svolgendo in questi anni, ne parla, ancora una vola Stefano Liberti che scrive: “è come se l’intera popolazione di Germania, Italia e Spagna defecassero e urinassero in una piscina ogni giorno che viene in terra”. I maiali in america sono sessanta milioni e ognuno di loro defeca tre volte un essere umano).

Tuttavia alla luce di queste precisazioni mi sento comunque di condividere l’idea che gran parte del problema risiede nella produzione industriale del cibo e che sarebbe auspicabile, ove possibile, un Km 0, al cibo che ha viaggiato più volte intorno al mondo.

Non mi sento nemmeno di parlare di superiorità etica dei vegani, perché non è così, ma solo in virtù di una generalizzazione. Tuttavia si può parlare di scelta etica proprio in virtù del fatto che delle persone sono disposte a cambiare il proprio stile di vita (non solo dal punto di vista alimentare) per evitare sofferenza altrui e in questo caso l’altrui è costituito dagli animali, dal pianeta e dalle altre persone. E chiunque compie una tale scelta sceglie un’opzione più difficile, sentendosi peraltro giudicato con ironia da chi comodamente non lo fa e cerca giustificazioni.

In ultimo da laureato in filosofia ci tengo a precisare che specista non è un termine usato per apostrofare altre persone deliberatamente. La parola specista compare nei testi di Peter Singer, filosofo contemporaneo (vi consiglio la lettura di Liberazione Animale) ed è utile per identificare una persona che attribuisce “un diverso valore e status morale agli individui unicamente in base alla loro specie di appartenenza” (la definizione è disponibile anche su Wikipedia).

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *